Calcoli delle vie biliari - Dott. Giovanni Ceccarelli

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Calcoli delle vie biliari

Argomenti scientifici > Urgenze in endoscopia digestiva

Le Complicanze della Calcolosi della Via Biliare: percorso diagnostico-terapeutico
Dr. Emilio di Giulio
Tratto da: Corso SIED " L'endoscopia d'urgenza", Bari 4 Dicembre 2001

Le due complicanze principali della calcolosi del coledoco sono la colangite e la pancreatite acuta. Tutt’e due queste complicanze possono dare origine a quadri clinici di differente gravità fino ad una possibile evoluzione fatale ad esordio rapido ed imprevedibile. Il tempestivo riconoscimento e la corretta gestione terapeutica sono fondamentali per ridurre la mortalità.

Aspetti organizzativi
L’espressione clinica più semplice di un’infezione biliare associata a coledocolitiasi è rappresentata da una febbre fugace o rapidamente controllabile con trattamento antibiotico. In una minoranza di casi, però, il grave quadro clinico prodotto dall’infezione biliare può comportare l’insorgenza di uno shock settico la cui gestione può richiedere stretto monitoraggio e terapie complesse tali da meritare un trasferimento del paziente in unità di terapia intensiva.
Analogamente un coinvolgimento del pancreas nella coledocolitiasi si manifesta molto frequentemente con una modesta e transitoria iperamilasemia. In genere, questi quadri non comportano scelte diagnostico-terapeutiche e, quindi, organizzative specifiche e non si associano a esiti diversi da quelli della coledocolitiasi, non complicata. Più raramente, invece, si instaura un quadro franco di pancreatite acuta, che in un 20 % dei casi esordisce o evolve verso una forma clinicamente severa, gravata da una mortalità che può raggiungere anche il 95% dei casi. L’imprevedibilità dell’evoluzione clinica, la complessità della malattia ed il possibile coinvolgimento di più organi comportano scelte anche organizzative, oltre che diagnostico-terapeutiche. L’approccio richiesto nei casi gravi deve essere obbligatoriamente specialistico, multidisciplinare, pronto, costante, efficace e sicuro.
Le linee guida della British Society of Gastroenterology (1) prefigurano il ricovero dei pazienti con forma grave o ingravescente di pancreatite acuta e/o con complicanze in unità specialistiche caratterizzate da: team multidisciplinari; facilità di accesso a unità di terapia intensiva ; disponibilità di esecuzione locale da parte di professionisti esperti di TAC con mezzo di contrasto , di procedure radiologiche di drenaggio percutaneo, di eventuale RMN e angiografia, di ERCP e di tutta l’endoscopia operativa d’urgenza. Una delle complicanze più gravi in termini di mortalità è la necrosi infetta. Il rischio di presenza di una necrosi infetta è del 70% circa nei casi in cui la TAC abbia rilevato raccolte fluide multiple e più del 50 % di necrosi. In questi casi, secondo la B.S.G., il paziente se é ricoverato in una struttura inadeguata, deve essere trasferito in una unità specialistica, dovunque essa si trovi. Il paziente con insufficienza multiorgano deve essere indirizzato in unità di terapia intensiva.

LA COLANGITE ACUTA
La prevalenza di colangite acuta nella coledocolitiasi è del 6-10%. L’80% delle colangiti sono dovute a coledocolitiasi.
L’approccio diagnostico
La sintomatologia tipica della colangite è caratterizzata dalla associazione di ittero, dolore e febbre (triade di Charcot); ma non sempre tutti e tre i sintomi sono presenti. Mentre la febbre si osserva nel 90 % dei casi, l’ittero nel 60% e il dolore nel 50% circa. La febbre ha, in genere, il caratteristico andamento della febbre settica e si associa a brividi. Nelle forme gravi (5% circa) si insatura un quadro tossico con confusione mentale e segni di shock. La diagnosi di colangite su base clinica è in genere agevole, tuttavia è importante ricordare che talvolta anche in soggetti in condizioni generali relativamente buone si può osservare una colangite suppurativa, caratterizzate cioè da presenza di pus nell’albero biliare,. E’ buona regola, quindi, non sottovalutare mai la comparsa di segni infettivi. Gli esami di laboratorio mostrano in più del 70 % dei casi una leucocitosi, ma una piccola percentuale di soggetti con colangite grave può presentare al contrario una leucopenia. La maggior parte dei pazienti presenta inoltre innalzamento della bilirubinemia, della fosfatasi alcalina, delle γGT e delle transaminasi. L’emocoltura è positiva nel 20-60% e la probabilità di ottenere risultati positivi dipende dal numero di prelievi che si eseguono, a causa del comportamento intermittente della batteriemia nella colangite. L’ecografia è certamente il primo esame strumentale da eseguire, ma la sua accuratezza resta insoddisfacente per una diagnosi certa di calcolosi del coledoco. Tuttavia l’ecografia può essere utile anche nel differenziare una colangite acuta da una colecistite acuta e nell’evidenziare eventuali ascessi epatici. In considerazione della necessità di eseguire un drenaggio della via biliare, nei casi di colangite acuta in atto la ERCP conserva anche un ruolo diagnostico, oltre che terapeutico; infatti in questi casi non è giustificato far precedere l’ERCP da una colangio-RMN o da una ecoendoscopia. Il paziente con quadro clinico non grave può essere monitorizzato valutando i parametri abituali (polso, pressione, temperatura, volume urinario, frequenza respiratoria, etc), ma nei casi clinicamente gravi il monitoraggio deve prevedere: funzione cardiaca, saturazione di ossigeno, cateterismo arterioso e venoso centrale). L’importanza della gestione delle prime ore (soprattutto nel controllo e ripristino delle condizioni emodinamiche) per l’outcome nella sepsi severa e nello shock settico è ribadito in un recente articolo del New England Journal of Medicine (2).
Una complicanza grave della colangite acuta è la comparsa di ascessi epatici .

L’approccio terapeutico
Misure generali sono il digiuno, la somministrazione parenterale di liquidi e antibiotici a largo spettro (dopo il prelievo per l’emocoltura !), la somministrazione di vitamina K per la correzione di deficit di coagulazione. Nei casi gravi con segni di shock le misure generali diventano fondamentali. Esiste un periodo critico, definito “golden hours”, in cui l’identificazione ed il trattamento dell’ipossia tissutale - che preannuncia l’insufficienza multiorgano – permette il massimo beneficio per l’outcome del paziente. Il trattamento complesso del paziente in questa fase richiede un approccio multispecialistico in terapia intensiva. Il monitoraggio in questo caso deve prevedere il rilevamento della pressione venosa centrale, il posizionamento di un catetere arterioso e di un catetere urinario, la somministrazione di ossigeno, farmaci vasoattivi, agenti inotropi e plasma expanders. In attesa di colture positive il trattamento antibiotico è diretto verso gli agenti infettivi più comuni nella colangite (E.coli, Klebsiella, Enterococcus, pseudomonas,anaerobi).
Le misure di supporto generale sono fondamentali per la prognosi, ma altrettanto importante è la risoluzione dell’ostruzione biliare.
La necessità di assicurare un drenaggio biliare efficace, soprattutto nei casi che non rispondono al trattamento antibiotico, consiglia l’esecuzione di una ERCP urgente con sfinterotomia ed estrazione dei calcoli. Talvolta la colangite acuta può essere responsabile di deficit della coagulazione e l’approccio iniziale non può comportare l’esecuzione di una sfinterotomia. In questi casi il trattamento può prvedere due fasi : la prima in urgenza in cui si assicura un drenaggio senza papillotomia con posizionamento di uno stent o meglio di un drenaggio naso-biliare ed una seconda fase , in elezione, dopo la normalizzazione dei parametri della coagulazione, con sfinterotomia ed estrazione dei calcoli. Soprattutto nei casi con etiologia litiasica il trattamento endoscopico è di prima scelta per il drenaggio in urgenza. Infatti comporta una mortalità minore della chirurgia in urgenza (3). Condizioni particolari quali una complessa calcolosi intraepatica multipla può tuttavia richiedere un accesso percutaneo.

LA PANCREATITE ACUTA BILIARE
L’approccio diagnostico

Comporta tre momenti fondamentali :
- il riconoscimento della malattia:la pancreatite acuta;
- la definizione della gravità della malattia e della sua possibile evoluzione clinica;
- il riconoscimento del fattore etiologico responsabile della malattia - la calcolosi.
a) diagnosi di pancreatite acuta
a) Clinica: la diagnosi può essere molto suggestiva se si osserva il tipico dolore “a barra”, ma la malattia può anche manifestarsi con un dolore meno tipico ai quadranti alti dell’addome, con vomito e tensione addominale diffusa. Tutti questi sintomi sono comuni anche ad altri quadri addominali acuti e la diagnosi sulla sola clinica può risultare difficile. Problemi di diagnosi differenziale possono porsi anche con altri quadri di addome acuto (ischemia mesenterica, la perforazione, la fissurazione di un aneurisma dell’aorta addominale).Talvolta possono comparire ecchimosi sulla parete addominale.
b) Biochimica: Fondamentali per la diagnosi sono un’iperamilasemia (aumento di almeno 3-4 volte il valore normale) e/o un’iperlipasemia (superiore a 2-3 volte il valore massimo normale). Il vantaggio nella valutazione della lipasemia è che la sua attività resta aumentata più a lungo di quella dell’amilasi ed è inoltre più specifica perché è prodotta solo dal pancreas. L’amilasuria è utile in caso di valori equivoci di amilasemia.
c) Radiologia: L’esame Rx diretto dell’addome evidenzia segni aspecifici, ma importanti, quali un ileo generalizzato o localizzato (ansa sentinella) o un eventuale retropneumoperitoneo (che può essere indice di infezione). L’esame radiografico diretto può portare anche al riconoscimento di calcoli radiopachi o calcificazioni pancreatiche Segni di gravità della malattia sono un versamento pleurico o un diffuso rinforzo della trama interstiziale indice di sindrome respiratoria acuta.
L’ecografia può riconoscere un aumento di volume del pancreas,che nel 25-50% dei casi in condizioni acute non è, comunque, esplorabile. Altre informazioni che possono giungere con l’ecografia sono la presenza di versamento libero peritoneale, di calcolosi della colecisti, di dilatazione delle vie biliari o di calcolosi del coledoco. La TAC non è esame fondamentale in questa fase della gestione del paziente, vale a dire per il riconoscimento della pancreatite acuta.
In assenza di altri segni indicativi di pancreatite e in presenza di liquido libero in peritoneo è giustificato il prelievo per ricerca dell’amilasi, e per escludere una contaminazione batterica.
b) valutazione prognostica

La definizione della gravità della pancreatite e della sua possibile evoluzione è fondamentale per la successiva gestione del paziente. La predittività della clinica è bassa ed i criteri prognostici basati su punteggi standardizzati (criteri di Ranson , criteri di Glascow, etc) sono, di fatto, poco usati nella pratica clinica. Infatti, un sistema di valutazione prognostica oltre che accurato deve essere anche semplice, rapido e sensibile, già nella fase precoce della malattia. I criteri prognostici conosciuti non sempre rispondono a questi requisiti. Inoltre, una recente meta-analisi (4) non mostra una efficacia superiore di tali crieri rispetto alla più semplice valutazione clinica.
Strumenti di valutazione prognostica sono:
· la clinica (i segni di infezione, segni di insufficienza d’organo o multiorgano);
· i criteri di Ranson e Glascow (complessi, valutabili a 48 ore);
· l’APACH II, più semplice, utile nella valutazione precoce e nel monitoraggio dei quadri gravi;
· il dosaggio della proteina C-reattiva (valori > 210 mg/l nei primi 4 giorni dall’attacco o > 120 mg/l alla fine della prima settimana anno una accuratezza dell’80%);
· la TAC con mezzo di contrasto ha un ruolo importante poiché definisce la presenza della necrosi, che si associa ad un decorso complicato. Il timing è controverso. Secondo la B.S.G. deve essere eseguita in tutti i casi con pancreatite grave da 3 a 10 giorni dopo l’attacco. La classificazione morfologica di Baltazar definisce 5 livelli di gravità in base al reperto morfologico TAC:
A normale
B aumento di volume diffuso o localizzato; piccole raccolte fluide
intrapancretaiche
C qualsiasi segno presente in A e B più alterazioni infiammatorie
peripancreatiche e necrosi pancreatica < 30%
D qualsiasi segno presente in A, B e C più raccolta fluida extrapancreatica
singola e necrosi pancreatica del 30-50 %
E qualsiasi segno presente in A, B, C e D più estese raccolte fluide
extrapancreatiche , ascessi pancreatici e > 50 % di necrosi pancreatica.
c) definizione dell’etiologia

Il riconoscimento dell’etiologia della pancreatite è fondamentale per le decisioni terapeutiche. Esistono evidenze che ripetendo accertamenti inizialmente negativi s’innalza il numero di casi in cui si riconosce l’etiologia della pancreatite,soprattutto aumentano i casi in cui si riconosce una calcolosi biliare.La diagnosi di pancreatite acuta “idiopatica” non dovrebbe superare il 20-30 % dei casi.
a) Clinica: storia (alcool, calcolosi, farmaci, alterazioni metaboliche, recente chirurgia , infezioni etc);
b) Biochimica : l’aumento delle transaminasi, soprattutto della SGPT, in particolare se associato ad una colestasi, è abbastanza indicativo di una etiologia biliare della pancreatite (5);
c) Radiologica:
a. Ecografia: in alcuni casi può essere risolutiva ed evidenziare una coledocolitiasi; in altri può segnalare segni di sospetto quali una colelitiasi e/o una dilatazione delle vie biliari;
b. L’ERCP: ha rappresentato negli anni passati il gold standard diagnostico della coledocolitiasi; oggi l’ecoendoscopia e la colangio-RMN hanno sostituito ampiamente l’ERCP nella diagnostica e permettono di preselezionare il paziente da indirizzare a una ERCP operativa. Resta tuttavia da definire il ruolo di questi nuovi esami diagnostici nei pazienti con pancreatite acuta, poiché spesso responsabile della malattia è una microlitiasi. L’ecoendoscopia si è dimostrata accurata anche nel riconoscimento di piccoli calcoli; meno documentata è l’accuratezza della colangio-RMN nella microlitiasi. Probabilmente queste due metodiche di indagine potranno occupare un ruolo diagnostico nei casi di pancreatite acuta lieve o in via di risoluzione.

L’approccio terapeutico

In caso di quadro clinico severo possono essere necessarie manovre rianimatorie ed approccio multidisciplinare per l’instaurarsi di una grave insufficienza multiorgano. La gestione del paziente in questo caso, per la necessità di stretto e complesso monitoraggio e assistenza, può meritare il ricovero in una unità di terapia intensiva.
Sulla base dei risultati di studi controllati (6,7,8)in tre condizioni è fortemente raccomandata l’esecuzione di una ERCP di urgenza nella pancreatite acuta: nei casi con quadro clinico grave, in presenza di ittero e in caso di colangite. In queste situazioni il trattamento endoscopico è efficace nel ridurre le complicanze, soprattutto quelle infettive, e la mortalità. Le manovre endoscopiche come tutte le altre procedure invasive in questi pazienti devono essere eseguite con manovre sterili e copertura antibiotica, se non ancora instaurata.
Minore evidenza esiste su quale debba essere la gestione terapeutica del paziente in cui la pancreatite è clinicamente lieve/moderata, in cui non esistano segni di ostruzione (ittero, dimostrazione ecografia di coledoclitiasi e/o dilatazione delle vie biliari) o di infezione biliare. In questi soggetti l’esecuzione della ERCP è più controversa. In assenza di una diagnosi di ostruzione biliare oggi esistono alternative diagnostiche meno invasive quali l’ecoendoscopia e la colangio-RMN pur con le riserve prima espresse sull’accuratezza nel rilevamento dei microcalcoli. Inoltre per il paziente candidato alla colecistectomia laparoscopica la colangiografia intraoperatoria può rapresentare una alternativa diagnostica, eventualmente seguita dal trattamento chirurgico della coledocolitiasi. La mancanza di studi risolutivi sulla gestione del paziente in questo contesto e la molteplicità delle metodiche di diagnosi e di trattamento non permettono oggi la formulazione di raccomandazioni forti. Inoltre, le scelte diagnostico-terapeutiche in questo caso sono spesso dettate dalle disponibilità e dalle competenze ed esperienze disponibili.
Misure di supporto: Ci sono evidenze che l’uso del sondino naso-gastrico in aspirazione non ha utilità, esso è tuttavia giustificato in caso di vomito o ileo. Anche il trattamento diretto a ridurre la secrezione acida (con anti-H2) non mostra negli studi controllati benefici clinici; così come non sarebbero giustificate terapie di routine con Glucagone, Calcitonina, Somatostatina o Octreotide o trattamenti con inbitori della proteasi (aprotinina, gabesato mutilato, plasma fresco).Il limite degli studi è spesso la piccola dimensione; una meta-analisi (9) mostra un vantaggio nel trattamento, ma riceve un invito alla interpretazione cauta da parte della Cochrane Review (10).
Terapia antibiotica. Poiché la sepsi è una delle complicanze maggiormente responsabili di mortalità ogni manovra deve essere eseguita con procedure sterili.
La somministrazione profilattica di antibiotici è raccomandata in questi pazienti. Benché studi passati non ne mostrassero un’efficacia, trials più recenti indicano una minore incidenza di sepsi pancreatica e non–pancreatica nei casi trattati con imipenem, una riduzione di infezioni e di decessi dopo terapia profilattica con cefuroxime, una riduzione di tutte le complicanze infettive in caso di trattamento antibiotico con associazione di ceftazidime, amikacina, metronidazolo. Non esistono sufficienti confronti per stabilire quale sia l’antibiotico preferibile e su quale debba essere la durata del trattamento profilattico. Sulla base di costo ed efficacia la cefuroxime e.v. sembra raccomandabile.
Supporto nutritivo. La maggior parte delle pancreatiti hanno decorso lieve e si risolvono in pochi giorni senza richiedere particolari supporti nutritivi. In tutti i casi viene prescritto il digiuno. Nei casi ad evoluzione grave il diminuito apporto calorico e l’aumentato catabolismo porta ad un bilancio energetico negativo. In due studi controllati la nutrizione entrale è risultata più efficace e sicura della nutrizione parenterale totale nelle forme di pancreatite acuta lieve e grave. Tuttavia questi indubbi risultati sono stati considerati insufficienti per formulare delle raccomandazioni forti dall’analisi della Cochrane Review a causa della insufficiente dimensione ed eccessiva eterogeneità degli studi (11).
Trattamento chirurgico il trattamento chirurgico comporta la colecistectomia e la resezione della necrosi pancreatica. La coledocolitiasi non richiede più un approccio chirurgico ma endoscopico e questo ha risolto anche la vecchia controversia sul timing della chirurgia. Oggi la colecistectomia può essere eseguita dopo la risoluzione della pancreatite una volta assicurato un efficace trattamento della coledocolitiasi in urgenza. Relativamente al trattamento della necrosi pancreatica la chirurgia precoce è gravata da alta morbilità e mortalità. In assenza di infezione rimane controverso l’approccio chirurgico precoce. Sulla base dei risultati di un piccolo studio non si evidenziano vantaggi nel trattamento chirurgico rispetto al drenaggio non operativo.In presenza di infezione l’indicazione chirurgica è invece assoluta.

BIBLIOGRAFIA
1) United Kigdom guidelines for the management of acute pancreatitis. Gut,1998,42,suppl.2:S1-S13
Rivers E., et al.
2) Early goal-directed therapy in the treatment of severe sepsis and septic shock. ,
N. Engl. J.Med,2001,345,19:1368
3) Lai EC, et al.
Endoscopic biliary drainage for severe acute cholangitis
N Engl J Med 1992,;326 (24) :1582
4) De Bernardis M,et al.;
Discriminant power and information content of Ranson’s prognostic signs in acute
pancreatitis: a meta-analytic study.
Clinical Care Medicine 1999,27(10):2272
5) Tenner S, et al.,
Predicting gallstone pancreatitis with laboratory parameters: a meta-analysis,
Am J Gastroenterol 1994,89(10):1863)
6) Neoptolemos JP,et al
Controlled trial of urgent endoscopic retrograde cholangiopancreatography and endoscopic sphincterotomy versus conservative treatment for acute pancreatitis due to gallstones
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7) Fan St et al
Early treatment of acute biliary pancreatitis by endoscopic papillotomy
N Engl J Med 1992,328 :228-32
8) Folsh UR, et al.
German Study Group on Acute Biliary Pancreatitis :Early ERCP and papillotomy compared with conservative treatment for acute biliary pancreatitis.
N Engl J Med 1997;336:237-42
9) Andriulli A., et al.,
Meta-analysis of somatostatin,octreotide,and gabesate mesilate in the therapy of acute
pancreatitis,
Alimentary Pharmacology and Therapeutics 1998,12:237
10) The Cochrane Lybrary 2001,Issue3
11) Al-Omran M,et al.,
The Cochrane Library,2001,Issue3.

Problematiche della Sfinterotomia Eseguita in Urgenza

Dr.  L. Familiari - P. Familiari
Tratto da: Corso SIED " L'endoscopia d'urgenza", Bari 4 Dicembre 2001



Premesse
Le indicazioni al cateterismo della papilla in urgenza sono essenzialmente due:

-         La colangite acuta grave (CA)

-         La pancreatite acuta biliare (PAB)

Esse hanno una caratteristica in comune, quelle di essere delle indicazioni alla ERCP in urgenza, per il ruolo terapeutico della tecnica endoscopica, ma di essere ugualmente le complicanze più frequenti e più gravi della ERCP.
E’ pertanto in questa particolarissima condizione, che esse vanno descritte ed analizzate e va considerato il ruolo terapeutico della ERCP.

LA ERCP NELLA COLANGITE ACUTA
Etiopatogenesi della colangite acuta

La CA batterica riconosce varie cause qui di seguito riportate:

-         Coledocolitiasi
-         Stenosi benigne
-         Neoplasie
-         Compressione dell’albero biliare
-         Dilatazioni congenite
-         Colangite sclerosante
-         Parassitosi
-         Sump syndrome
-         Trattamento preliminare sulle vie biliari

Le cause più frequenti di CA sono la coledocolitiasi e le stenosi benigne. Raramente le ostruzioni maligne si manifestano con una colangite spontanea. Se si fa invece riferimento alle colangiti acute gravi, la causa più frequente è rappresentata da una  ERCP o PTC con drenaggio incompleto di vie biliari ostruite. In una nostra serie di 45 colangiti acute gravi, solo in 5 pazienti (11.1 %) si trattava di infezione primaria, gli altri casi erano tutti secondari ad una ERCP con drenaggio incompleto (ERCP con drenaggio incompleto di una stenosi ilare: 15 – 33.3 %; ostruzione di stent: 20 – 44.4 %; ERCP preliminare per litiasi: 5 – 11.1 %).

Il corretto drenaggio delle vie biliari in corso di ERCP rappresenta pertanto la migliore prevenzione delle colangiti.

La contaminazione batterica delle vie biliari avviene tramite la batteriemia portale o, più frequentemente  per un’infezione ascendente. Normalmente la colangite non si osserva in assenza di ostruzione biliare, poiché, molteplici meccanismi di difesa intervengono per allontanare l’agente patogeno, mentre l’ostruzione con il conseguente aumento di pressione intrabiliare interferisce con tali meccanismi: il flusso biliare, le tight junctions, sali biliari, cellule di Kupffer, immunoglobuline secretorie. Pertanto il termine corretto da utilizzare e’ quello di “colangite acuta ostruttiva”.
Aumentando la pressione biliare (il limite massimo e’ di 10-15 cm di H2O), c’è un reflusso colangio-venoso e quindi al comparsa di setticemia quando la pressione supera i 30 cm di H2O, si arresta la secrezione di bile.

Questi dati costituiscono il presupposto fisiopatologico del trattamento delle colangiti mediante drenaggio endoscopico.

Diagnosi
Classicamente la colangite acuta si presenta con i segni della triade di Charcot (ittero, dolore e febbre), che diventa pentade di Reynold quando si associano anche la confusione mentale e lo shock.

Se questi sono i sintomi più frequenti (75 % circa), bisogna fare attenzione che spesso, nei pazienti anziani o anergici, la colangite grave si può presentare con sintomi sfumati, a volte con una febbricola o addirittura senza febbre. Questa situazione e’ abbastanza frequente nei pazienti neoplastici portatori di protesi biliare: l’ostruione della protesi si manifesta con una febbricola che viene spesso scambiata per una sintomatologia influenzale, con perdita di tempo prima che venga sostituito lo stent, sostituzione che rappresenta la sola valida terapia. Non è raro che nei pazienti anziani l’unico sintomo sia il delirio, per cui i pazienti vengono ricoverati in ambiente neurologico.

I test di laboratorio mettono in evidenza una leucocitosi con incremento degli indici di colestasi; i livelli di bilirubina possono non essere molto elevati, soprattutto in caso di etiologia litiasica.

La leucopenia, la piastrinopenia, la coagulopatia, l’insufficienza renale, sono indici di aggravamento importante e di prognosi infausta.         

Tra gli esami strumentali non invasivi, l’ecografia riveste un ruolo fondamentale, metterà in evidenza la dilatazione delle vie biliari, la coledocolitiasi, l’eventuale presenza di ascessi epatici. La TC spesso non e’ necessaria, mentre invece lo è la MRCP, in caso di rilievo ecografico di vie biliari intraepatiche dilatate e di via biliare principale normale, allo scopo di stabilire il tipo di drenaggio (endoscopico o percutaneo). L’imaging negativa però non può escludere la colangite, i pazienti con un sospetto di sepsi biliare, anche con ecogafia, TC ed RMN normali, devono essere sottoposti ad ERCP.

La sola visione endoscopica della papilla, spesso permette di diagnosticare la colangite: in caso di pregressa sfinterotomia, si può osservare il pus fluire spontaneamente dalle vie biliari, una grossa  salienza del coledoco intramurale testimonia una dilatazione importante delle vie biliari. La colangiografia  permette ovviamente la diagnosi precisa delle patologie ostruttive che sostengono la sepsi biliare: Va ottenuta iniettando una piccola quantità di contrasto, possibilmente dopo aver aspirato la bile settica, l’iniezione a pressione forzata può aggravare la setticemia.

Terapia
La colangite acuta batterica non trattata ha una mortalità variabile tra il 5 ed il 30 %. Tra il 60 e l’80 % dei pazienti con colangite lieve o moderata rispondono bene al trattamento antibiotico. I germi che si ritrovano nelle colture biliari sono vari: Escherichia coli, Klebsiella, Enterococcus, Streptococcus, Pseudomonas Aeruginosa. Rara è l’infezione da germi anaerobi. Il germe più frequentemente ritrovato in caso di contaminazione endoscopica è lo Pseudomonas. Possono essere utilizzati vari antibiotici a largo spettro, ma pare che la Ciprofloxacina sia l’unica a raggiungere livelli terapeutici nella bile in caso di ostruzione biliare. Occorre menzionare il fatto che l’ittero ostruttivo può potenziare la nefrotossicità degli aminoglicosidi. La terapia antibiotica va iniziata immediatamente ma, nei soggetti con instabilità emodinamica, delirio, insufficienza multiorganica, va eseguito in urgenza il drenaggio decompressivo delle vie biliari, come pure in quelli che non rispondono alla terapia antibiotica dopo 24-48 ore..

Nel 2001, Hui, analizzando i dati relativi a 142 pazienti con colangite acuta, ha proposto uno score basato su 4 fattori predittivi di insuccesso della terapia medica:

1)      Frequenza cardiaca > 100/m’

2)      Albumina < 30 g/L

3)      Bilirubina >50 mg/L

4)      Tempo di protrombina > 14”

La presenza di uno o più fattori dello score, è associata ad un insuccesso della terapia medica nel 50.7% contro l’1.5%, quando nessuno dei fattori è presente. Questo sistema predittivo ha secondo Hui una sensibilità del 96.8% ed una specificità del 59.6%. Pertanto nei pazienti con presenza di uno di questi fattori il drenaggio endoscopico o percutaneo si impone in emergenza senza aspettare i risultati della antibioticoterapia.

La terapia endoscopica prevede la sfinterotomia, l’estrazione di calcoli, l’applicazione di drenaggio naso-biliare o di uno stent, secondo le diverse situazioni  patologiche. Il successo del drenaggio endoscopico super il 90 % con una risoluzione della colangite grave in circa il 95 % dei casi.

Per contro, il drenaggio chirurgico in emergenza è gravato da una mortalità del 20-30 %, prossima a quella della terapia antibiotica  (20-40 %), ed uno studio prospettico randomizzato drenaggio endoscopico vs drenaggio chirurgico di Lai, pubblicato nel 1992, ha mostrato una differenza significativa della mortalità per colangite acuta grave (10 % vs 32 %).

Il drenaggio naso-biliare costituisce certamente il cardine della terapia endoscopica. Anche se sono stati estratti tutti i calcoli in caso di colangite da litiasi, il drenaggio n-b consente di effettuare dei lavaggi con soluzione antibiotica, di prevenire nuovi episodi di colangite in caso di presenza di frammenti litiasici tralasciati, di monitorare la quantità e le caratteristiche della bile, di effettuare controlli colangiografici successivi, senza necessità di una nuova ERCP.

Pure in caso di stenosi neoplastica, in cui l’indicazione e’ ovviamente lo stent, in caso di colangite grave, l’applicazione di un drenaggio n-b in parallelo allo stent, può facilitare la guarigione della sepsi e prevenire un’ostruzione precoce della protesi. Se il drenaggio endoscopico non ha successo (vedi per esempio le stenosi ilari di tipo III, allora deve essere completato con il drenaggio percutaneo, e se anche questo non sortisce beneficio, solo allora si dovrà prospettare la soluzione chirurgica, anche se in effetti sono oggi rarissimi i casi in cui si perviene a questa terza soluzione.

Prevenzione della colangite.
E’ stato scritto come la ERCP sia il presidio terapeutico di riferimento per la colangite, ma come essa stessa possa essere causa di colangite, ed abbiamo visto come oggi, in realtà essa sia la causa più importante di colangite grave. Pertanto devono essere prese in esame le misure che occorre mettere in opera per prevenire la colangite da contaminazione endoscopica.

Queste possono essere riassunte in 3 punti:

a)      Drenare sempre le vie biliari dopo che la ERCP ha dimostrato un’ostruzione, ma soprattutto nei casi a rischio di colangite grave

b)      In caso di drenaggio endoscopico incompleto va eseguito quello percutaneo

c)      Evitare la ERCP quando sulla base dell’imaging esiste un’ostruzione non drenabile endoscopicamente.

Per quanto concerne il primo punto va ribadito che la disostruzione precoce e completa delle vie biliari rappresenta di per se la migliore terapia antibatterica e la sola capace di prevenire le colangiti. Esistono però delle situazioni a rischio in cui il drenaggio endoscopico dopo ERCP è indispensabile.

Lai nel 1989 ha identificato 3 parametri di rischio per l’insorgenza di colangite dopo ERCP:

1)      L’ostruzione neoplastica

2)      La temperatura febbrile maggiore di 37.5° C, entro le 72 ore precedenti l’indagine.

3)      AST > 70 UI

La presenza di uno di questi fattori rappresenta un’indicazione assoluta al drenaggio delle vie biliari dopo ERCP, in quanto il rischio di colangite è elevatissimo. Soprattutto la temperatura febbrile molto alta costituisce una controindicazione alla ERCP se questa non può essere seguita dall’immediato drenaggio delle vie biliari.

A questi fattori andrebbe a nostro avviso aggiunta la malattia di Caroli che rappresenta, in assenza di drenaggio,  una situazione ad altissimo rischio di colangite post-ERCP.

Nel caso in cui sia impossibile un drenaggio endoscopico completo, va eseguito quello percutaneo. Ma ancora meglio è prevedere, senza iniettare mezzo di contrasto, se l’ostruzione sia drenabile endoscopicamente o per via percutanea e scegliere di conseguenza la colangiografia diretta più idonea: la ERCP o la PTC.

La situazione più emblematica è la stenosi neoplastica ilare: mentre il I tipo di Bismuth, ed anche il II, sono drenabili endoscopicamente, per il III tipo il drenaggio endoscopico è difficile, a volte impossibile.  Nel caso di un reperto ecografico di vie biliari intraepatiche dilatate con via biliare principale normale, segno evidente di una stenosi ilare la MRCP, eseguita prima della colangiografia diretta potrà chiarire il tipo, in modo tale che il paziente possa essere inviato all’endoscopista o al radiologo secondo la stenosi, evitando il rischio di effettuare una colangiografia con mezzo di contrasto senza la possibilità di un contemporaneo drenaggio completo.

LA ERCP NELLA PANCREATITE ACUTA BILIARE

Etiopatogenesi della pancreatite acuta biliare

L’associazione tra calcolosi biliare e pancreatite acuta è ben conosciuta. Circa il 34-54 % delle pancreatiti hanno un’eziologia litiasica. Per pancreatite acuta biliare si intende quella situazione anatomo-clinica in cui l’episodio di pancreatite viene provocato da una concomitante patologia a carico delle vie biliari.

Ma sebbene la patologia litiasica è quella più frequente, anche altre patologie a carico delle vie biliari, possono entrare in causa nel determinismo di una pancreatite biliare:

-         Colesterolosi
-         Sludge
-         ERCP e chirurgia biliare
-         Tumori periampollari
-         Colangiocarcinoma
-         Diverticolo perivateriano
-         Anormalità anatomiche locali
-         Parassiti
-         Colangite sclerosante
-         Disfunzione dell’Oddi

Circa le modalità secondo cui il calcolo provoca la pancreatite, le teorie sono diverse e tutte discutibili. Alla più classica common channel theory, secondo cui un piccolo calcolo impattatto nella papilla cortocircuita la bile nel Wirsung, si oppone la impaired flow hypothesis: il calcolo blocca il deflusso del secreto pancreatico, aumentando la pressione pancreatica endocanalare, fino alla più recente two phase theory, secondo la quale sarebbe il passaggio continuo di piccoli calcoli attraverso la papilla ad innescare la pancreatite ed a mantenerla aggravandola.

Qualunque sia il meccanismo patogenetico, tutte queste teorie hanno però un denominatore comune: il ruolo del calcolo impattato nella papilla, da cui deriva l’ipotesi terapeutica della disostruzione precoce.

Diagnosi
Una precisa diagnosi eziologica è indispensabile per la pianificazione del trattamento più idoneo.

Esistono criteri clinico-biologici e criteri strumentali.
La diagnosi strumentale di calcolosi ovviamente poggia sui risultati di ecografia, TAC, ERCP, EUS, ed MRCP, con queste ultime 3 la cui percentuale di individuazione dei calcoli della VBP tocca il 95-98 %, e con il vantaggio delle ultime 2 tecniche di non impiegare l’iniezione di mezzo di contrasto.

L’ecoendoscopia ha una maggiore risoluzione rispetto alla risonanza, individua calcoli di 1 mm di diametro, contro i 3-4 mm della MRCP, ha il vantaggio di poter essere eseguita nella stessa sala di endoscopia o radiologia, prima della ERCP, ma è operatore-dipendente.

Viceversa possono esistere delle difficoltà per eseguire la MRCP in un paziente con pancreatite acuta severa in atto, sofferente e poco cooperante, soprattutto se l’obiettivo è quello di individuare piccoli calcoli in coledoco. La RMN e la TAC spirale conservano ovviamente il loro ruolo di valutazione dell’evoluzione della pancreatite.

La ERCP continua a costituire il gold standard per la diagnosi delle patologie della via biliare principale. Non è esente tuttavia da complicanze. Ha però il grosso vantaggio di essere una metodica insieme diagnostica e terapeutica, per cui è quella che va preferita se esiste certamente l’indicazione alla terapia endoscopica, e la fase diagnostica costituisce in tal caso, solo un tempo preliminare al trattamento.   

In effetti la diagnosi etiologica della pancreatite può essere posta con una buona approssimazione in base a criteri clinici e biologici.

I criteri di MacMahon sono i primi ad essere stati pubblicati in un lavoro del 1979: l’aumento delle GOT, della Fosfatasi alcalina e della bilirubina si assocerebbe nel 62-88 % dei casi all’etiologia biliare. Più preciso lo score di Blamey del 1983 che individua 5 criteri (Età>50, Sesso: F, Fosfatasi alcalina >2N, ALAT > 3N, Amilasemia > 10N)  con la probabilità di un’etiologia biliare che aumenta con il numero di criteri presenti, fino a raggiungere il 100 % quando sono presenti tutti e 5 i criteri.

La diagnosi etiologica costituisce una tappa determinate e deve essere posta prima della fase ERCP, mediante indagini semplici, non invasive, a rischio basso o rischio zero.

L’iter più logico in questo momento sembrerebbe: lo score di Blamey + ecografia + (eventuale) EUS. Questo iter diagnostico consente di accertare l’etiologia biliare (presenza di litiasi della VBP, oppure stenosi dell’Oddi)nel 100 % dei casi, senza l’iniezione di mezzo di contrasto per via transpapillare (e quindi senza buona parte delle complicanze della ERCP). Infine la tappa ultima, l’EUS, in grado di rilevare calcoli di 1 mm di diametro, avrebbe il vantaggio di essere eseguita in sala di endoscopia, con la possibilità di passare alla eventuale fase operativa della sfinterotomia nella stessa seduta.       

Terapia
Il problema della pancreatite biliare è che nella sua forma lieve guarisce spontaneamente nella stragrande maggioranza dei casi (sicuramente oltre l’85 %), senza bisogno di alcun intervento. Il passaggio spontaneo del calcolo, che ostruisce la papilla solo per pochi minuti o poche ore, determina la risoluzione dell’episodio pancreatitico. Addirittura nella stessa definizione di pancreatite lieve della conferenza di Atlanta del 1992 si trova la caratteristica della guarigione spontanea.

Si pone pertanto il problema del se e quando una sfinterotomia endoscopica in urgenza sia veramente utile per risolvere una PAB. Era pertanto logica la proposta di studi prospettici randomizzati che mettessero in paragone il trattamento endoscopico con il trattamento tradizionale esclusivamente medico.

4 lavori sono stati pubblicati tra il 1988 ed il 1997.

Lo studio di Neoptolemos
Il primo di Neoptolemos (1988) mette in paragone il trattamento conservativo e la ERCP con eventuale sfinterotomia in due gruppi di pazienti, quelli con pancreatite lieve e quelli con pancreatite severa. I pazienti vengono randomizzati per un trattamento conservativo con proibizione della ERCP+/-SE per almeno 5 giorni,  oppure ERCP+/- SE entro 72 ore dall’ammissione in ospedale. La sfinterotomia endoscopica viene eseguita solo in caso di calcoli della VBP ritrovati alla ERCP. Vengono sottoposti ad ERCP: 34 pancreatiti di tipo mild e 25 severe (i calcoli biliari sono confermati rispettivamente in 28 e 22 pazienti, i calcoli nel coledoco in 7 (25%) delle mild e 12 (63 %) delle pancreatiti severe

Vengono trattate in maniera conservativa 34 pancreatiti mild e 28 severe (calcoli biliari confermati in 29 e 24 pazienti rispettivamente).

Non si osserva una differenza significativa per quanto riguarda le complicanze, la mortalità (nessun decesso) e la durata di ospedalizzazione per i pazienti con pancreatite mild trattati con i due diversi modi. Si osserva al contrario una differenza significativa tra il gruppo ERCP e quello della terapia conservativa, nelle pancreatiti severe per quanto concerne le complicanze, le mortalità e la durata di ospedalizzazione (9,5 gg vs 17 gg), a vantaggio del gruppo ERCP. I decessi nelle pancreatiti severe sono di 1 paziente (4 %) nel gruppo ERCP: si trattava di un malato con colangite acuta senza conferma di calcoli (ma nel lavoro non è specificato se è stato o no drenato endoscopicamente o se non avendo calcoli è stata solo eseguita la ERCP diagnostica), deceduto 28 giorni dopo per insufficienza cardio-respiratoria ed accidente cerebrovascolare. 5 pazienti (18 %) (di cui 2 con calcoli non confermati) sono deceduti nel gruppo sottoposto a terapia conservativa. In base a questi dati sembrerebbe che la ERCP in urgenza, con eventuale sfinterotomia in caso di indicazione, abbia un significato solo nei pazienti con pancreatite grave, mentre sarebbe superflua nei pazienti con pancreatite lieve.

La critica che viene fatta a questo lavoro è che il gruppo di pazienti con litiasi del coledoco sottoposti ad ERCP è abbastanza esiguo: 7 pazienti con pancreatite mild e 12 con severa, e la SE viene eseguita solo in caso di rilevamento di calcoli in coledoco: vengono pertanto escluse le disfunzioni dell’Oddi e si attribuisce alla ERCP un ruolo diagnostico con le sue complicanze associate.   

Lo studio di Fan
206 pazienti, randomizzati per ricevere un trattamento conservativo ed ERCP +/- ES solo se le condizioni si aggravavano, oppure ERCP +/- ES entro 24 ore dall’ammissione in ospedale. La sfinterotomia endoscopica viene eseguita solo in caso di calcoli della VBP ritrovati alla ERCP. Vengono sottoposti ad ERCP 56 pancreatiti di tipo mild e 41 severe (i calcoli biliari sono confermati rispettivamente in 34 e 30 pazienti, i calcoli nel coledoco in 20 (59%) e 19 (63%) rispettivamente nelle mild e nelle severe). Vengono trattati con terapia conservativa 58 pancreatiti mild e 40 severe (i calcoli biliari sono confermati in 35 e 28 pazienti. I calcoli nel coledoco in 19 (54%) e 16 (57%) rispettivamente nelle mild e nelle severe). Alla fine i risultati di questo lavoro sono equivalenti a quelli di Neoptolemos: ERCP ininfluente rispetto alla terapia conservativa nei casi di pancreatite mild, vantaggio significativo in termini di complicanze, (soprattutto per quanto concerne le sepsi biliari), della ERCP per i pazienti con pancreatite severa.

La mortalità nelle pancreatiti severe è di 5 casi (12%) nel gruppo ERCP, 9 pazienti (23 %) nel gruppo della terapia conservativa. Anche in questo lavoro, la SE viene eseguita solo in caso di presenza di calcoli nel coledoco.

I pazienti sono stati divisi in pancreatiti mild o severe in base ai criteri di Ranson ed anche in base a criteri di Hong Kong non accettati universalmente. Si nota in questo lavoro la grossa percentuale (39-43 %) di pazienti del gruppo ERCP in cui è stato opacizzato il Wirsung.

Lo studio di  Fölsch
Si tratta di un lavoro policentrico su 238 pazienti escludendo quelli con livelli alti di bilirubina (>5 mg/l) o segni di colangite (febbre >39°), divisi in pancreatite mild o severa. I pazienti vengono randomizzati per ricevere un trattamento coinservativo o ERCP+/- ES entro 72 ore dall’esordio della pancreatite. La SE viene effettuata solo in caso di calcoli della VBP ritrovati alla ERCP (58 pz – calcoli rimossi in 57). Vengono inseriti nel gruppo ERCP: 26 pancreatiti severe, 16 indefinite, 84 mild, nel gruppo del trattamento conservativo: 20 pancreatiti severe, 16 indefinite, 76 mild.

Le complicanze sono: 58 (46%) nel gruppo ERCP, 57 (50.9%) nel gruppo della terapia conservativa. Sono però più gravi quelle del gruppo ERCP, tra l’altro in questo gruppo sono presenti 15 casi di insufficienza respiratoria,  17 casi di colangite. La mortalità è di 14 pazienti(11.1%) nel gruppo ERCP di cui 10 per pancreatite acuta, 7 (6.3%)  nel conservativo di cui 4 per pancreatite.

L’idea originale di questo lavoro, rispetto ai precedenti è stata quella di escludere i pazienti con ittero importante o colangite, per verificare il ruolo reale del trattamento endoscopico sulla pancreatite, indipendentemente dal miglioramento della patologia biliare. Inoltre il tempo di intervento è stato calcolato dall’insorgenza dei sintomi e non da quello dell’ospedalizzazione.

La conclusione del lavoro è che la ERCP in urgenza ha indicazione solo in caso di urgenze biliari (ittero ostruttivo, sepsi biliari) i pazienti con pancreatite acuta ma senza complicanze biliari non solo non beneficiano della ERCP in urgenza, ma addirittura hanno una maggior percentuale di complicanze e di mortalità.

In realtà questo lavoro è stato molto criticato, in quanto i centri partecipanti non sembrano essere di alto livello. Si osserva anche nel gruppo ERCP un’alta percentuale di colangiti, verosimilmente legata ad un’insufficiente drenaggio della via biliare (ERCP senza sfinterotomia endoscopica ?).

L’idea poi di escludere i pazienti con ittero importante o colangite può essere opinabile, in quanto la presenza di una patologia biliare più o meno grave sta alla base della definizione di pancreatite biliare.

I°  studio di Nowak
280 pazienti con PAB vengono sottoposti a duodenoscopia entro 24 ore dall’ammissione.

Nei 75 con un calcolo impattato in papilla viene effettuata la sfinterotomia endoscopica immediata.

Gli altri 205 con papilla normale vengono divisi a random per ricevere (103) la SE immediata oppure (102) il trattamento convenzionale. Le complicanze sono : 17 % nei gruppi della sfinterotomia immediata – 36 % in quello della terapia convenzionale. La mortalità: 2% e 13 % rispettivamente.

I migliori risultati per i pazienti trattati con SE sono stati ottenuti quando la sfinterotomia è stata eseguita entro 24 ore dall’esordio della pancreatite: complicanze 7% - mortalità 0%; i peggiori quando la SE è stata effettuata oltre 72 ore dopo l’esordio della PAB: complicanze 22% - mortalità 8%, con una differenza statisticamente significativa.

II° studio di Nowak
307 pazienti con PAB vengono sottoposti a SE: 76 entro 24 ore (gruppo I), 160 nei giorni 2-3 (gruppo II) e 71 nei giorni 4-7 (gruppo III).

Le complicanze complessive sono 41 (13.4%) e 12 i decessi (3.9%). Per quanto riguarda le pancreatiti mild le complicanze sono 2 (4%) e i decessi 0 nel gruppo I, 9 (7%) e 1 (1%) nel gruppo II e 11 (19 %) e 3 (5%) nel gruppo III.

Per le pancreatiti severe: 3 complicanze (13%) e 0 decessi nel gruppo I, 13 (34%) e 2 (5%) nel gruppo II e 3 (22%) e 6 (43%) nel gruppo III.

Va rilevato però subito un fatto importante che li differenzia dagli altri studi: nel gruppo della ERCP, tutti i pazienti sono stati sottoposti a sfinterotomia endoscopica e non solo quelli in cui viene rilevata la calcolosi della VBP.

In base ai risultati la SE deve essere effettuata il più presto possibile, i migliori risultati si hanno se viene eseguita entro 24 ore dall’esordio indipendentemente dalla gravità della malattia. Questi risultati così buoni rispetto ai lavori precedenti sono legati al fatto che la SE è stata sempre eseguita e non solo nei casi di documentata litiasi della via biliare principale?

In una nostra recente serie retrospettiva, di pancreatiti acute biliari trattate tutte con sfinterotomia endoscopica tra il 1994 ed il 1999  la percentuale di complicanze si colloca all’1,6 % per le pancreatiti mild ed al 14,3 %  per le severe con una mortalità complessiva dello 0,8 % presente solo nelle severe (4,8 %).

Dall’analisi dei dati si osserva come l’opacizzazione del Wirsung si è avuta solo in 15 casi (12 %) a differenza del lavoro di Fan dove la percentuale superava il 40 %.

Un altro dato interessante è che pur essendo la litiasi coledocica presente in 32 casi (25,4 %), in 9 casi, pari al 14,3 % delle colangiografie normali il calcolo (piccolo) è stato evidenziato solo dopo la sfinterotomia.

Questi dati pur proveniendo da una serie retrospettiva ci sembrano degni di interesse poiché concordano con quelli degli studi di Nowak, aprendo il problema di un uso estensivo della sfinterotomia nei casi di pancreatite biliare .

Considerazioni
Le problematiche relative alla PAB, sia sul piano dell’eziopatogenesi, della diagnostica, della valutazione prognostica e del trattamento sono state invece, nel corso di questi ultimi anni rimesse in discussione e necessitano di essere riconsiderate e verificate.

In particolare, per quanto riguarda i meccanismi eziopatogenetici, se sicuramente la rimozione del calcolo impattato in papilla ha degli effetti positivi sull’evoluzione della pancreatite, andrebbero eventualmente chiariti tutti gli altri possibili meccanismi, meccanismi che potrebbero giustificare la sperimentazione di ipotesi terapeutiche diverse da quelle tradizionali. Per esempio: il ruolo del reflusso duodeno-pancreatico (potrebbe o no essere indicata la sfinterotomia in caso di papilla beante dopo il passaggio di un calcolo?); il ruolo dell’iperpressione nel Wirsung (potrebbe avere un significato terapeutico il drenaggio precoce del Wirsung ?); il ruolo della “two phase theory” (avrebbe un significato la sfinterotomia sempre e comunque, anche dopo il passaggio del calcolo attraverso la papilla, per evitare un ulteriore ostruzione della papilla, dopo la prima risoltasi spontaneamente?).  

Per quanto concerne la diagnosi e la valutazione prognostica, oggi queste vanno definite in maniera precisa prima di qualsiasi trattamento.

Per la diagnosi eziologia è lo score di Blamey quello più accreditato, ma sicuramente questo andrebbe oggi integrato con i risultati dell’ecografia che fa parte ormai dell’esame obiettivo del paziente e che andrebbe quindi considerata alla stessa stregua (in termini di impegno medico) di un dato obiettivo semplice quale un esame di laboratorio.

Gli esami più impegnativi quali la EUS e la MRCP vanno considerati a parte e distinti da questa valutazione diagnostica di prima istanza, ma sono oggi indispensabili e devono ridurre la fase endoscopica a mero intervento terapeutico (sfinterotomia, ecc.)

Il punto attualmente più controversoè costituito dalla terapia endoscopica della PAB, e cioè se, in quali casi e quando debba essere effettuato il trattamento endoscopico.

Circa i rapporti tra PAB ed ERCP occorre tener presente quanto segue:

-         La pancreatite acuta può esordire in maniera severa, ma nella maggior parte dei casi esordisce ed evolve come pancreatite lieve con guarigione spontanea.

-         Quando la causa della pancreatite persiste per più di 48 ore (per esempio un calcolo impattato in papilla) è più probabile l’evoluzione da pancreatite mild a pancreatite severa.   

-         Non è possibile predire precocemente, in maniera assoluta, quale sarà l’evoluzione di una pancreatite e, soprattutto è più difficile nelle prime 24-48 ore che sono poi quelle critiche in cui la pancreatite può guarire spontaneamente o evolvere in severa.



-         La ERCP con sfinterotomia costituisce allo stato attuale la terapia eziologica di riferimento della PAB.

-         La ERCP è comunque gravata da un certo tasso di complicanze.

-         La ERCP va oggi vista come una procedura soltanto terapeutica, la fase diagnostica di essa va utilizzata solo quando, in base alle indagini preliminari è certo che bisognerà effettuare la terapia endoscopica, per cui il momento diagnostico diventa un semplice preliminare di conferma



-         La presenza, accanto ai segni biologici della pancreatite,  di indici di colestasi elevati, di dilatazione anche modesta della via biliare principale, di presenza di calcoli in colecisti, dell’età superiore a 50 anni, sono criteri sufficienti per porre diagnosi di PAB. La conferma della presenza di un calcolo nella via biliare principale non è un argomento indispensabile, per cui nella PAB, la diagnosi eziologica può essere effettuata sulla base dei dati clinici, biologici ed ecografici, senza necessità di ricorrere alla ERCP diagnostica. Al limite potrà essere effettuata un’ecoendoscopia, indagine sensibilissima per valutare la presenza di calcoli nel coledoco senza iniezione i mezzo di contrasto.

-         Una volta che è stata posta la diagnosi sulla base dell’esistenza di tali segni clinici, biologici ed ecografici (vedi lo score di Blamey) se si decide di eseguire la ERCP (soprattutto nelle pancreatiti severe o nelle lievi con tendenza all’aggravamento) questa va effettuata per l’esecuzione di una sfinterotomia, a nostro avviso anche se non si ritrova un calcolo nella via biliare.

Questo perché:

a)      L’opacizzazione non seguita da sfinterotomia può esser causa di colangiti che aggravano il decorso della pancreatite.

b)      Le manovre sulla papilla possono essere causa di edema che aggrava il decorso della PAB, se non si apre la papilla.

c)      E’ possibile che il calcolo impattato sia transitato, ma se non si esegue la sfinterotomia, l’eventuale nuovo passaggio di piccoli calcoli dalla colecisti, (two-phase theory), determinerà un aggravamento della patologia.

d)      E’ possibile che i piccoli calcoli non siano visibili alla colangiografia endoscopica, o perché incastrati tra le pliche papillari (a volte si vedono saltare fuori immediatamente dopo la sfinterotomia), o perché risaliti nelle vie biliari intraepatiche al momento dell’iniezione del contrasto, o perché risaliti in un cistico ampio, sempre al momento dell’iniezione del contrasto, (da cui ripasseranno per dare di nuovo ostruzione, in assenza di sfinterotomia), o perché mascherati dal mezzo di contrasto troppo denso.

e)      La PAB può essere sostenuta da sludge biliare invisibile sulla colangiografia. Benchè il ruolo dello sludge sia difficile da definire e sicuramente spesso si esagera sulla sua importanza, ciò nonostante, sicuramente, in alcuni casi di PAB si osserva un tappo di sabbia biliare e muco-pus che ostruisce la papilla e, rimosso il quale si assiste ad una rapida guarigione della pancreatite.

f)        Sicuramente alcune PAB sono sostenute da disfunzioni dell’Oddi, sia da stenosi sia da spasmi correlati per esempio ad una colecistite: la sfinterotomia anche in questi casi risolve il problema.



Il problema può essere visto differentemente secondo lo stadio di gravità della pancreatite.

Le pancreatiti severe
Va eseguita la sfinterotomia in urgenza.

Ovviamente, se mancano i segni di colestasi, non c’è accenno di dilatazione delle vie biliari e non c’è una calcolosi della colecisti, non si può parlare di eziologia biliare e quindi la decompressione della VBP non ha alcun senso logico.

Non è importante porre una diagnosi certa di calcolosi della via biliare principale, in base a quanto è stato sopra scritto, per cui la necessità di indagini più precise, prima dell’esecuzione della ERCP operativa (per es. ecoendoscopia) può essere superflua.

Le pancreatiti mild
Il problema di queste è che non se ne conosce precocemente l’evoluzione.
In genere guariscono da sole, e spesso, al momento del ricovero, sono già in fase di risoluzione spontanea.
In questo caso il paziente deve essere considerato come un normale litiasico e lo si valuterà alla stessa stregua dei pazienti con sospetta calcolosi del coledoco senza complicanza pancreatitica.
Le decisioni verranno prese in base alla presenza di calcoli nella colecisti, all’età, all’operabilità, ecc.
La diagnosi pre-ERCP deve allora essere quanto più precisa possibile, poiché in effetti, in assenza di calcolosi della via biliare principale o di documentata stenosi dell’Oddi, la sfinterotomia endoscopica non ha senso.
Per la diagnosi, se non è certa l’indicazione alla sfinterotomia, non ha senso al giorno d’oggi  utilizzare la ERCP ma potrà eventualmente essere eseguita una MRCP o un’ecoendoscopia.
Pertanto, una diagnosi precisa circa la presenza di una litiasi della VBP, preliminarmente alla ERCP è più necessaria in corso di pancreatite lieve anziché in quella severa. Si tratta solo apparentemente di un paradosso, in quanto la certezza dell’efficacia della SE nella pancreatite severa, a fronte della grande incidenza di complicanze e mortalità dei casi non trattati endoscopicamente, fa sì che l’indicazione endoscopica debba essere posta.
Diverso è invece il caso delle pancreatiti mild non a rapida risoluzione, quelle cioè in cui persistono per oltre 24 ore indici di colestasi e citolisi elevati, l’iperamilasemia. In questo caso il rischio di evoluzione in pancreatite acuta severa, non prevedibile in maniera assoluta, impone che questa pancreatite venga trattata alla stessa stregua di una forma grave.
E’ possibile che un allargamento dell’indicazione alla SE precoce nelle pancreatiti mild riduca l’incidenza della pancreatite severa ? Questa è una domanda in attesa di risposta per la quale potranno servire studi prospettici randomizzati eseguiti su serie di pazienti molto vaste.

 
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