Il paziente emorragico - Dott. Giovanni Ceccarelli

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Il paziente emorragico

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EMERGENZE EMORRAGICHE: percorsi diagnostico-terapeutici


F. Chilovi
Tratto da: Corso SIED " L'endoscopia d'urgenza", Bari 4 Dicembre 2001

Le emorragie digestive rappresentano la più comune emergenza in ambito gastroenterologico. L´incidenza del fenomeno è variabile nelle diverse realtà geografiche, con valori variabili dal 50 a 150/100000 (1).

Presso la Divisione di Gastroenterologia dell´Ospedale di Bolzano che raccoglie tutte le emergenze emorragiche provenienti da un bacino di utenza primario di 200.000 persone e secondario di 500.000 sono state ricoverate nel corso dell´anno 2000 196 pazienti con emorragie digestive non da varici (100/100.000).

Il paziente con emorragia digestiva richiede una iniziale valutazione clinica comprendente l´anamnesi ed un esame fisico che metta a fuoco i possibili fattori eziologici del sanguinamento e la severità clinica del sanguinamento stesso. Alcuni parametri quali shock, ipotensione ortostatica sintomatica, tachicardia, malformazioni vascolari, sono stati individuati in un recente studio (2) quali fattori indipendenti di rischio che, ove presenti, possono indirizzare il ricovero in unità dedicata (G.I. Bleeding Unit o di terapia intensiva).

Molti autori (3-7) hanno sviluppato dei sistemi di punteggio associando parametri clinici ed endoscopici con l´obiettivo di differenziare i pazienti ad alto e basso rischio. Tali metodi però differiscono in maniera significativa uno dall´altro sia per la definizione dei reperti clinici ed endoscopici sia per i criteri di inclusione ed esclusione. La presenza inoltre di alcune variabili significative in alcuni studi e non in altri rende problematica l´applicazione generalizzata di questi metodi. E´ tuttavia possibile identificare i seguenti parametri quali fattori costanti di aumentato rischio: età avanzata, presenza di shock, instabilità emodinamica, importanti comorbilità, coagulopatia, presenza di lesioni endoscopiche ad alto rischio, specifiche diagnosi endoscopiche (neoplasie).

Un altro problema che si pone alla presentazione clinica del paziente è l´individuazione della sede del sanguinamento, che non risulta sempre chiaramente evidente. In caso di sanguinamento massivo infatti dal tratto gastrointestinale superiore l´esordio clinico può essere dato da emissione rettale di sangue rosso e il posizionamento di un sondino naso-gastrico con ritorno di materiale non emorragico non esclude con certezza l´origine alta del sanguinamento. Jensen (8) evidenziò come il 10% dei pazienti ritenuti avere un sanguinamento originante dal basso sanguinavano in realtà da lesioni del tratto gastrointestinale superiore. In generale, nei casi in cui sia presente un sanguinamento massivo, in cui sia presente un aspirato ematico del sondino naso-gastrico, una positività di storia per ulcera peptica o di consumo di FANS, è buona norma far precedere l´eventuale esame colonscopico da una gastroscopia.

TERAPIA MEDICA

L´uso degli antagonisti dei recettori H2-dell´istamina non ha dimostrato un chiaro beneficio nel trattamento dei pazienti con ulcera peptica sanguinante. Uno studio meta-analitico (9) di 27 trials pubblicati sull´uso degli H2-antagonisti ha dimostrato che questi farmaci riducono solo marginalmente la percentuale di risanguinamento, la necessità di ricorso alla chirurgia e la mortalità concludendo che altri studi con grossa numerosità casistica erano necessari per meglio valutare l´efficacia di questo trattamento. In un successivo studio condotto da Walt (10) in più di 1000 pazienti con sanguinamento da ulcera, la famotidina per via endovenosa non ha dimostrato alcun effetto sulla mortalità, sulla quantità di sangue trasfuso e sul ricorso alla chirurgia.

Il motivo della mancata efficacia degli H2-antagonisti dell´istamina può essere spiegato dal fatto che studi in vitro hanno dimostrato che sia l´aggregazione piastrinica che la coagulazione sono strettamente pH-dipendenti e che l´emostasi risulta virtualmente impossibile a pH 5.4 (11). La ranitidina e la famotidina alle dosi usate negli studi clinici non hanno mantenuto tali livelli di pH (12-14).

L´omeprazolo dato per via venosa ad alte dosi inibisce quasi completamente la secrezione acida (15) ottenendo stabilmente livelli di pH sopra il 6 in tutti i pazienti.

Una recente meta-analisi (16) di 11 studi clinici randomizzati ha dimostrato che i PPi sono superiori agli H2-antagonisti nel trattamento dell´ulcera peptica sanguinante. In questi studio veniva riportato risanguinamento nel 6.7 di pazienti trattati con PPi e nel 13.4 dei pazienti trattati con H2-antagonisti (O.R. 0.4; 95% Cl 0.27-0.59). In particolare veniva osservata una più marcata differenza della percentuale di risanguinamento nei pazienti ad alto rischio (Forrest 1a,1b o 2a): 13.2% vs 34.5% e nei pazienti che non ricevevano terapia endoscopica (4.3% vs 12%). Tuttavia, nonostante gli studi siano eterogenei e non dimostrino una sicura efficacia dei PPi nel ridurre la mortalità, questi farmaci dovrebbero essere sempre usati almeno nei pazienti ad alto rischio di sanguinamento.

ENDOSCOPIA

Timing

In generale c´è  accordo che minore è il tempo che intercorre tra la presentazione del paziente e l´ esecuzione dell´ endoscopia, migliori sono i risultati e più breve è il ricovero in ospedale. Un recentissimo studio prospettico randomizzato (17) ha dimostrato come i pazienti sottoposti precocemente ad endoscopia (mediamente 4.5 ore dopo la presentazione) necessitano in maniera statisticamente significativa di un minor numero di trasfusioni e di giorni di degenza ospedaliera rispetto a quelli sottoposti ad endoscopia differita (20 ore).

Esame endoscopico

Nonostante le caratteristiche cliniche siano importanti nel predirre l´evoluzione dei pazienti con ulcera sanguinante l´aspetto endoscopico è la fonte delle più utili informazioni prognostiche. Le stigmate dell´emorragia sono state classificate più di 25 anni fa da Forrest (18) e sono state ormai da tutti completamente accettate. Esse sono: base dell´ulcera pulita (Forrest III); presenza di macchia piatta pigmentata (Forrest IIc); coagulo adeso (Forrest IIb); vaso visibile non sanguinante (Forrest IIa); sanguinamento attivo modesto (oozing) (Forrest Ib); sanguinamento attivo di tipo arterioso (spurting) (Forrest Ia).

La prevalenza e la percentuale di sanguinamento per ognuno di queste stigmate in assenza di terapia endoscopica sono studiate da Laine (19) e sono riportate nella sottostante tabella:

stigmate endos.  -  cl. di Forrest  -  prevalenza  -  risanguinamento

                                                                 %                        %

base pulita                       III              42 (19-52)                 5 (0-10)

macchia piatta                 IIC              20 ( 0-42)                10 (0-13)

coagulo adeso                 IIB              17 (0-49)                 22 (14-36)

vaso visibile                     IIA             17 (4-35)                 43 (0-81)

sanguinamento attivo      IA-IB           18 (4-26)                55 (17-100)

Il maggior problema inerente la valutazione endoscopica è legato alla soggettività dell´operatore. In due studi pubblicati a questo riguardo (20-21), la concordanza intra-observer era buona (anche se non superiore al 75%) limitatamente al sanguinamento di tipo spurting, mentre per le altre stigmate la percentuale di concordanza variava dal 32 al 50%.

I dati di letteratura inerenti l`ulcera in fase di attivo sanguinamento sono inquinati dal fatto che solo pochi studi distinguono il sanguinamento di tipo spurting (Forrest Ia) da quello di tipo oozing (Forrest Ib) e ciò rende ragione di come le percentuali di risanguinamento varino nei vari studi dal 17 al 100%. Nei pochi studi pubblicati infatti, ove i pazienti con sanguinamento di tipo Forrest Ia e Ib venivano considerati separatamente, la percentuale di risanguinamento, la necessità di ricorso alla chirurgia, l´efficacia delle manovre endoscopiche era ben differente. In un recente studio di Chung (22) ad esempio, il 30% dei sanguinamenti Forrest Ia trattato con adrenalina necessitava di trattamento chirurgico per risanguinamento versus solo il 5.6% dei pazienti trattati sempre con adrenalina, per sanguinamento di tipo Forrest Ib.

Il vaso visibile non sanguinante è un termine usato per descrivere una piccola protuberanza elevata all´interno di un cratere ulceroso che non sta sanguinando. Questa è spesso una lesione problematica da diagnosticare come dimostra l´enorme variazione di percentuale di risanguinamento riportata in letteratura (0-81%). Già nel 1986 Swain (23) dimostrava che la protuberanza visibile all´interno della lesione ulcerativa poteva rappresentare un vaso oppure un piccolo coagulo che tappava una lesione su un vaso o che copriva il tetto di uno pseudoaneurisma. Nel 1989 una Consensus  Conference NIH coniava il termine di protuberanza pigmentata (24). Nel  1993 tuttavia, Freeman (25) metteva in evidenza come anche un vaso  visibile pallido, traslucido, non pigmentato abbia un rischio di sanguinamento analogo alla lesione pigmentata.

Per coagulo adeso si intende un coagulo che non è rimovibile con il lavaggio mirato e che non permette di visualizzare parte o tutta la base dell´ulcera. Il coagulo può nascondere la presenza di un vaso visibile o di una base pulita. Se il coagulo vada rimosso forzatamente è ancora controverso, essendo in  letteratura le percentuali di risanguinamento variabili dall´8% al 25% (26). Un recente studio controllato tuttavia (27) ha evidenziato una percentuale di risanguinamento del 35% in pazienti con coagulo adeso non trattati verso il 5% (p<0.02) di pazienti trattati con adrenalina + heater probe.

Le ulcere deterse o ricoperte da depositi non rilevati di qualsiasi colore hanno una probabilità medio-bassa di risanguinare (0-13%) e non hanno indicazioni per terapia endoscopica. SI ritiene che la causa di un risanguinamento in un paziente con un´ulcera detersa sia da ricondurre o ad un vaso visibile traslucido non rilevato o ad una seconda fonte di sanguinamento.

Terapia endoscopica

L´endoscopia, oltre al valore diagnostico e progonostico, permette mediante l´impiego di varie tecniche di emostasi di ridurre il rischio di sanguinamento, la morbilità e la mortalità delle lesioni endoscopiche ad alto rischio (28).

L´uso di queste tecniche è generalmente riservato per i pazienti che stanno attivamente sanguinando con vaso visibile o coagulo adeso. Le ulcere deterse o con macchie pigmentate infatti hanno una bassa probabilità di risanguinare e non richiedono trattamento endoscopico.

Varie metodiche endoscopiche sono state proposte nel trattamento delle emorragie digestive da ulcera. Le tecniche più diffusamente usate sono quelle iniettive, termiche e l´associazione di entrambe. Più recentemente sono stati proposti altri metodi come l´applicazione di clips o lacci, il trattamento con microonde, l´uso dell´argon plasma coagulation. Allo stato attuale delle cose nessuna singola tecnica di emostasi endoscopica ha dimostrato dei risultati consistentemente superiori alle altre per le difficoltà di confrontare i vari studi clinici controllati a causa della differenza dei criteri di inclusione, della diversità di interpretazione dei quadri endoscopici, della diversità di esperienze degli operatori. La significatività statistica inoltre è difficile da raggiungere in molti studi a causa del piccolo numero di pazienti trattati. Essendosi tutte le teniche prese in considerazione rivelatesi efficaci, riteniamo che ogni endoscopista debba usare la tecnica dove ha maggiore esperienza e che ritiene più semplice da usare.

Complicanze

Le complicanze dell´emostasi endoscopica  sono relativamente rare e sono principalmente l´aspirazione nelle vie aeree, l´aggravamento del sanguinamento e la perforazione. L´aspirazione di sangue può essere prevenuta proteggendo le vie aeree, con intubazione endotracheale o con uso di overtube nei pazienti che presentano ripetuti episodi di ematemesi, severo sanguinamento, stomaco ripieno di sangue. La perforazione è la complicazione più severa riportata in tutti gli studi clinici randomizzati rivisti in questo articolo e ricorre nello 0.5-3% dei casi e non è legata ad alcuna particolare tecnica o sostanza usata. In un recente studio (29) condotto retrospettivamente su 10197 pazienti sottoposti ad endoscopia d´urgenza per sanguinamento digestivo la percentuale di complicazioni riportare fu del 2.8%. In particolare le complicazioni generali (ipossia, ipotensione, aritmie) furono dello 0.7%, le perforazioni dello 0.6%. La più alta perventuale di complicazioni nel corso delle 24 ore fu registrata verso mezzanotte, presumibilmente a causa dello staff ridotto e della stanchezza del personale. Nonostante tali rischi, l´emostasi endoscopica comporta un netto beneficio nel trattamenti dei pazienti con lesioni ad alto rischio. Gralnek, ad esempio, (30) in un recente studio prospettico, randomizzato, controllato, otteneva una percentuale di emostasi primaria rispettivamente nel 100% e nel 90% dei pazienti con ulcera sanguinante (Forrest Ia) trattati con heater probe o terapia iniettiva verso l´8% dei trattati con terapia medica. Questo risultato era pure associato a minor necessità di trasfusioni, di interventi chirurgici e portava a un costo nettamente inferiore.

Second look

L´utilità di una revisione della situazione endoscopica dopo un tempo prefissato (il cosiddetto second look) non è stata ancora dimostrata. Una recente meta-analisi (30) includente 4 trials con 785 pazienti confrontava l´osservazione clinica con un second look sistematico eseguito a 48-72 ore. L´endoscopia second look riduceva del 6% il rischio di sanguinamento (O.R. 0.65; 95%, 0.44-0.95) senza significativa riduzione degli interventi chirurgici o della mortalità.

Dopo il trattamento endoscopico i pazienti ad alto rischio di sanguinamento dovrebbero essere ricoverati in ambienti per cure intensive, idealmente in un´unità dedicata ai sanguinamenti digestivi. E´ infatti stato dimostrato da Stevens come i pazienti trattati da un team dedicato a questa patologia necessita in maniera statisticamente significativa di un minor numero di trasfusioni, di interventi chirurgici e di giorni di ricovero.

Vari studi dimostrano come il risanguinamento avvenga di solito entro le 48-72 ore dopo il primo trattamento e interessi complessivamente il 15-20% dei pazienti (31-32). In questi casi è opportuno che la scelta sul che fare sia basata su una valutazione clinica complessiva, anche se il ritrattamento endoscopico si è dimostrato efficace in numerosi studi. In un recente trial prospettico randomizzato (33) condotto su 92 pazienti con risanguinamento, il ritrattamento era confrontato con la chirurgia. Il 73% dei pazienti ritrattati endoscopicamente beneficiava di una stabile emostasi, mentre il 27% doveva essere operato a causa del fallimento del controllo dell´emorragia. Questo studio conferma in maniera chiara che il trattamento endoscopico riduce la necessità di intervento chirurgico ed è associato a minori complicazioni rispetto alla chirurgia. In alternativa può essere preso in considerazione il trattamento angiografico che però è per lo più limitato ai pazienti che non possono essere sottoposti ad intervento /chirurgico.

L´identificazione e l´eradicazione dell´Helicobacter pylori in pazienti con ulcera peptica sanguinante deve essere considerato il gold standard del successivo trattamento di questi pazienti, essendosi dimostrata l´eradicazione uno dei principali fattori di prevenzione della recidiva dell´ulcera. Per i pazienti HP- negativi deve essere preso in considerazione un trattamento a lungo termine con H2-antagonisti dell´istamina o inibitori della pompa protonica. Nelle ulcere causate infine dall´assunzione di FANS l´abolizione/riduzione della somministrazione di tali farmaci o il concomitante uso di prostaglandine si è dimostrato un sicuro fattore di prevenzione del risanguinamento.



EMERGENZE EMORRAGICHE: le tecniche endoscopiche.

E. Ricci

Negli ultimi vent'anni sono state proposte numerose tecniche di emostasi endoscopica, ma nonostante la grande mole di esperienze maturate e il discreto numero di studi prospettici pubblicati sull'argomento, non è stata dimostrata fino ad oggi la superiorità di una tecnica rispetto alle altre. La comparazione delle terapie endoscopiche è comunque in questi casi difficile, sia per le differenze dei criteri di inclusione dei pazienti e della variabilità nell'interpretazione dei reperti endoscopici, che per le differenze, a volte anche rilevanti, nell'esperienza di differenti operatori. È possibile comunque affermare che l'esperienza dell'operatore è il fattore più importante nel determinare l'efficacia della procedura emostatica, ancor più della tecnica utilizzata (1).

Un operatore esperto deve infatti saper  valutare la correttezza dell'indicazione sia dal punto di vista clinico che endoscopico, possedere le conoscenze teoriche e pratiche per la gestione dei pazienti in emergenza e urgenza, acquisire la manualità necessaria per eseguire correttamente l'emostasi endoscopica ed ottenere così gli outcomes auspicati. Ancora oggi la gestione del paziente con emorragia digestiva è ancora lungi dall’essere standardizzata (2).

E’ importante per un endoscopista prendere confidenza con le varie metodiche endoscopiche e dare la preferenza in prima istanza a quelle con le quali ha accumulato la maggior esperienza ed ha ottenuto i risultati migliori. Solo successivamente potrà selezionare di volta in volta la metodica che riterrà più efficace in rapporto alla lesione da   trattare.

E’ necessario comunque porsi alcune domande:

a)      è sempre necessario imparare le tecniche di emostasi?

b)      Quali sono i fattori che possono condizionare la scelta di introdurre in una istituzione una tecnica anziché un'altra?

c)      E’ utile effettuare una emostasi profilattica e in quali casi?

d)      In assenza di evidenze dai trials clinici controllati, a volte difficili da ottenere, è possibile identificare dei criteri di preferenza di una tecnica sull'altra e rapportarli alle diverse tipologie di lesione da trattare?

a) Un professionista che effettui  endoscopie digestive, anche solo diagnostiche, deve possedere le conoscenze e le capacità che gli permettano di effettuare un'emostasi endoscopica, poiché nell'esercizio di tali attività potrebbe trovarsi in qualunque momento nella necessità di metterle in pratica. L'emostasi endoscopica deve essere pertanto una procedura effettuabile anche nei centri di endoscopia di base o di primo livello secondo la classificazione AIGO - SIED- SIGE. Un endoscopista che effettui polipectomie o altre metodiche operative deve a maggior ragione necessariamente saper effettuare un'emostasi endoscopica. L’Union Européenne Des Médecins Spécialistes  (U.E.M.S.)  nel capitolo 6 elaborato dall’European Board of Gastro-Enterology  (UEMS 1995) ha definito come  “basic obligatory requirements”  un numero minimo di  procedure che tra l’altro comprendano trenta interventi di scleroterapia e tecniche emostatiche sul tratto gastrointestinale superiore e cinquanta su quello inferiore (3). L’American Society of Gastrointestinal Endoscopy (ASGE) nel documento su “Principles of  training in Gastrointestinal Endoscopy”  riporta  tra il numero minimo di procedure che un professionista deve eseguire venti emostasi endoscopiche sul tratto superiore e inferiore e specifica che in particolare dieci di queste devono riguardare sanguinamenti attivi (4).

b) Nella scelta della tecnica o delle tecniche da implementare in una istituzione devono essere presi in considerazione i costi, la facilità d'uso e di apprendimento e la portabilità della strumentazione. Quest'ultimo fattore è a volte sottovalutato, ma può diventare importante qualora l'equipaggiamento endoscopico debba essere trasportato nelle unità di terapia intensiva per i pazienti emodinamicamente instabili (1). Nella pianificazione e implementazione di una nuova tecnologia è molto importante inoltre prevedere a livello locale  l'elaborazione e l'applicazione di linee guida e di programmi di Quality assurance che prevedano l'accurata registrazione dei dati, la comparazione con i risultati della letteratura e la pronta correzione di eventuali discrepanze (5).  Dal punto di vista dei costi il laser è il dispositivo più costoso e il suo acquisto può essere giustificato solo se si prevede una gestione plurispecialistica. L’Argon plasma coagulator (APC) in Italia ha un costo di circa 24.000 euro, mentre l’heather probe (HP) di 8.200 euro (6). L’ago utilizzato per la terapia iniettiva ha un costo di circa 100 euro. Due studi clinici prospettici hanno analizzato i costi medici diretti delle diverse strategie utilizzate ed hanno riscontrato rispettivamente un costo di 4254 dollari per l’HP, 4620 dollari per l'elettrocoagulazione bipolare e 3477 dollari per la terapia iniettiva (7). Non sono disponibili  al momento  analisi economiche per quanto riguarda l'impiego delle clips o di altri dispositivi per l’emostasi meccanica. La terapia iniettiva sembra essere al momento la tecnica più economica, più semplice da utilizzare e quella che richiede un  tempo di apprendimento minore.

c) Per quanto riguarda l’emostasi profilattica essa è stata proposta principalmente prima di una polipectomia endoscopica nei pazienti a rischio, sia per situazioni generali che per le dimensioni dei polipi. Sono state a questo scopo utilizzate l’infiltrazione del peduncolo o della base del polipo con soluzione salina e epinefrina (8), il posizionamento di endo –loop per i polipi peduncolati (9, 10), il posizionamento di endoclip (10, 11, 12). Non sono stati condotti comunque al momento studi controllati che ci forniscano evidenze forti della loro efficacia.

d) Le tecniche di emostasi endoscopica più utilizzate sono la terapia iniettiva, l'elettrocoagulazione, la termo-coagulazione con heater probe, la laser coagulazione e l'emoclipping.  I dispositivi che permettono di ottenere l'emostasi senza venire a contatto con i tessuti permettono di evitare i problemi legati alla aderenza del tessuto coagulato con il dispositivo, che possono ridurre l'efficacia emostatica, carbonizzare il coagulo, determinare  danni tissutali, rendere difficile il controllo dell'erogazione dell'energia utilizzata. Rispetto agli altri dispositivi di elettrocoagulazione, l'argon plasma coagulator (APC) ha il vantaggio di non produrre fumo, poiché il tessuto è dessiccato e non carbonizzato, così da non ostacolare la visione endoscopica. Con questo dispositivo è inoltre possibile trattare lesioni situate in aree poco accessibili poiché la direzione della corrente è determinata dal campo elettrico generato tra il gas ionizzato e il tessuto, così da rendere possibile l'impiego anche in posizioni adiacenti al tessuto da coagulare (6). L’APC sembra particolarmente utile nelle patologie che determinano una emorragia a nappo su superfici più o meno ampie, come in caso di proctite post-attinica (13, 14), di “watermelon stomach (GAVE syndrome) (15) o di malattia di Rendu Osler Weber (16).

L'utilizzo dell'heater probe (HP)  può essere  talora difficile per un'ulcera  attivamente e significativamente sanguinante, poiché l'efficacia della coagulazione può essere ridotta dal fatto che il liquido dissipa il calore  (17).

Le tecniche di emostasi meccanica (clip, endoloop, band) hanno il vantaggio teorico di non determinare danni tissutali, ma saranno necessari ulteriori studi prospettici per dimostrarne l'efficacia clinica. Il loro impiego è senz’altro raccomandabile nelle emorragie che insorgono in esofago, dove la parete è più sottile, e nei casi di recidiva dopo trattamento termocoagulante (18). La “band ligation” è stata eseguita con successo nel trattamento dell’emorragia dopo polipectomia endoscopica (19). Uno studio sperimentale condotto sui vasi mesenterici del cane ha messo a confronto la terapia iniettiva e la coagulazione bipolare con i metodi di emostasi meccanica (band, clip, sewing machine e endoloops) e ha dimostrato che solo gli ultimi due metodi sono efficaci per i vasi sanguigni di diametro maggiore di due millimetri di diametro. Infine solo le endoloops sono state efficaci per i vasi di 5 millimetri (20).  

Numerosi studi prospettici randomizzati hanno paragonato i risultati delle diverse tecniche combinandole variamente tra di loro. L’HP, l'elettrocoagulazione monopolare e bipolare, il laser e la terapia iniettiva  hanno mostrato tutti di ridurre significativamente la percentuale di risanguinamento e di interventi chirurgici d'urgenza, ma solo il laser ha mostrato di ridurre significativamente la mortalità (21). Con l’HP e la terapia iniettiva con adrenalina e polidocanolo  in un altro studio sono stati ottenuti outcomes similari (22). L’HP e l’APC hanno mostrato differenze non significative in termini di emostasi iniziale, risanguinamenti, mortalità a trenta giorni e chirurgia d'urgenza. L’APC in questo studio ha permesso di ottenere una emostasi più rapida (60 vs 115 secondì in media), ma non è chiaro se la maggiore rapidità di azione permette risultati clinici migliori (6). L'emostasi con le clips metalliche è stata paragonata con la terapia  iniettiva con etanolo ed ha permesso di ottenere una percentuale inferiore di risanguinamenti (15 vs 29%) (23). Uno studio prospettico randomizzato presentato recentemente alla 9th United European Gastroenterology Week, che ha comparato le medesime tecniche di emostasi nelle ulcere gastriche, non ha dimostrato invece differenze tra le due metodiche (24). Le emoclips hanno permesso di ottenere una percentuale significativamente inferiore di risanguinamenti rispetto all’HP (1,8  vs  21%) e di ridurre il tempo di ospedalizzazione e il numero delle trasfusioni (25). In un altro studio l’emostasi ottenuta solo con clip metalliche è stata confrontata con la combinazione tra l’impiego di queste ultime e la  terapia iniettiva con adrenalina e soluzione salina  ipertonica senza ottenere differenze statisticamente significative (26).  Il limite maggiore nell’impiego delle clips a scopo emostatico è costituito dalla scarsa maneggevolezza dei dispositivi di posizionamento, che richiedono un adeguato training del personale e la disponibilità di almeno due assistenti. Questo problema potrebbe essere risolto dalla recente commercializzazione di dispositivi monouso premontati.

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EMERGENZE EMORRAGICHE: le possibilità radiologiche

A. Siani, F. Sandomenico, B. Cusati

L’endoscopia è la metodica di elezione nella diagnostica e nella terapia delle emorragie digestive con possibilità di successo che varia dall’ 85-90 %(2,3),ma  in alcune occasioni ed, elettivamente nell’emorragie del tenue e del colon,  è necessario ricorrere alle procedure di radiologia interventistica che possono essere risolutive.

L’identificazione del sanguinamento, non sempre agevole, è effettuato con un esame angiografico superselettivo del tripode celiaco,della mesenterica superiore e della mesenterica inferiore e  dipende dalla presenza della emorragia al momento dell’esame e dalla sua entità  che deve essere uguale o superiore a 0,5 ml/sec.(1,9)

Il quadro agiografico è caratterizzato dalla presenza di piccoli stravasi di mezzo di contrasto al di fuori del lume vasale che persistono nelle fasi tardive ed, in caso di emorragie massive, si spandono nella totalità del lume intestinale.

Le cause più frequente di sanguinamento sono determinate nel 25% da lesioni neoplastiche,nel 19% da angiodisplasie ,nel 12% da fistole artero venose,nel 12% da traumi,nel 13 % da ulcere, nel 13% da enteriti e nel 6% da cause varie, mentre la sede del sanguinamento è nel 61% quella colica,nel 30% la digiuno-ileale,nel 7% la rettale e nel 2% la duodenale.(4,5.8).

L’affidabilità diagnostica della angiografia è nel 73% nelle emorragie acute e del 55% nelle emorragie croniche.(4,5).

Le tecniche di radiologia interventistica sono le vasocostrittive e le embolizzanti;la scelta dell’una o dell’altra dipendono dalla sede e dall’entità del sanguinamento.(1,7,9).

Le tecniche vasocostrittive sono basate sull’utilizzo della vasopressina che, attraverso un duplice meccanismo di vasocostrizione arterioso capillare e di contrazione della muscolatura liscia della parete gastrointestinale,determina una netta riduzione del flusso sanguigno con formazione di coaguli a livello del locus emorragico.

Il dosaggio consigliato è inizialmente di 0.2- 0,4 unità minuto per circa 30 minuti

I risultati ,ottimali negli stravasi di piccola entità con un successo terapeutico intorno all’80%, non sono adeguati per frenare emorragie derivanti da vasi arteriosi di grosso calibro in cui è indispensabile a ricorrere alle tecniche embolizzanti.

I materiali embolizzanti possono essere distinti in assorbibili e non assorbibili;

i primi,definiti anche temporanei,(Gelfoam,Spongostan),determinano una ostruzione temporanea del vaso che dura dalle 24 alle 48 ore con successivo ripristino della normale circolazione.

I definitivi a loro volta si suddividono in chimici(ivalon,cianoacrilato) che determinano una occlusione meccanica associata ad una reazione flogistica con secondaria fibrosi e meccanici(spirali metalliche,palloncini staccabili)che occludono il vaso con il meccanismo della trombosi e sono utilizzati nelle gravi emorragie originanti da grosse fistole artero-venose o da aneurismi viscerali rotti o fissurati.

Le complicanze sono relativamente contenute con una incidenza variabile tra il 3.8% al 5% e sono legate all’esperienza dell’operatore,alla sede ed al tipo di lesione  ed alle condizioni del paziente.(4,6)

Capitolo a parte è quello delle emorragie da rottura di varici esofagee  che arrivano alla radiologia interventistica nei casi in cui il trattamento endoscopico non è più efficace.

Esistono due tecniche embolizzanti che possono essere utilizzate in modo combinate: l’occlusione della vena gastrica di sinistra con materiale embolizzante sia di tipo chimico che meccanico,associata ad una derivazione porto sistemica con il posizionamento di uno stent che mette in comunicazione la vena sovraepatica media o destra con la vena porta.

In conclusione la radiologia interventistica riveste ancora un ruolo importante nella gestione terapeutica del paziente emorragico.

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